Atteso ospite della seconda settimana di Cop26, la conferenza sul clima delle Nazioni unite in corso a Glasgow, Obama, che si è definito un island kid, ha ribadito che “mai come adesso le isole sono minacciate” dalle conseguenze della crisi climatica. Un appello che fa eco a quello, ancora più iconico, di Simon Kofe, ministro della Giustizia, degli esteri e delle comunicazioni del governo di Tuvalu, stato insulare del Pacifico, che collegandosi a Cop26 ha parlato da un podio. Letteralmente con l’acqua alle ginocchia. Perché è questo quello che gridano le isole alla conferenza scozzese: se non rimaniamo entro 1,5° di aumento delle temperature, rischiamo di sparire.
“Negare e ritardare“, denuncia in una conferenza stampa Milagros De Camps, viceministra per la cooperazione internazionale del ministero dell’Ambiente della Repubblica Dominicana, rispetto ai lavori: “Le azioni servono adesso”. In rappresentanza di 39 governi di Stati insulari, riuniti nell’Aosis (l’organizzazione delle piccole isole), De Camps punta il dito contro i mancati investimenti promessi: “Siamo lontani dall’obiettivo dei 100 miliardi di dollari”, ossia il traguardo nei finanziamenti da parte delle economie più ricche a quelle in via di sviluppo che, alla Conferenza del clima di Copenhagen del 2009 ci si era impegnati a raggiungere nel 2020. “I 100 miliardi devono arrivare subito, in un anno” spiega la vice ministra. Ma in aggiunta a questi soldi è necessario attivare fondi specifici contro le perdite e i danni causati dalla crisi climatica e dagli eventi più estremi, come siccità o uragani e progetti tecnologici che restino nel territorio per sviluppare competenze.